
Domanda retorica se riferita all’isolamento attuale
Coronavirus COVID-19: come cambierà la distanza tra le persone?
In questo periodo siamo tutti forzatamente distanti, non per odio, ma per il salute collettiva. Stiamo sacrificando il periodo attuale per poter riabbracciare i propri cari, con rinnovato entusiasmo e ritrovata passione. Per anni abbiamo dato molte cose per scontate: la carezza del proprio partner, l’abbraccio di un genitore, il gesto di un amico, la stretta di mano di un collega.
Come intrappolati in un Sonno Verticale, agivamo passivamente, tutto era una copia, di una copia, di una copia. Il reale stava lentamente e insidiosamente scivolando nel digitale. L’icona dei like, accesa di rosso, scatenava una tempesta di Dopamina, a cui la lenta e ripetitiva vita reale faceva fatica a tener testa. Non voglio dire che questo non stia ancora succedendo, anzi, ma il Velo di Maya si è alzato dal fondo, per farci riafferrare un barlume di consapevolezza sulle proprie azioni e sulle persone vicine a noi.
Ma quanto vicine?
La domanda è tutt’altro che banale, e regolata da precise regole scientifiche e sociologiche, a tal punto che esiste anche disciplina che si dedica interamente a questo campo, chiamata Prossemica e introdotta dall’antropologo Edward T. Hall nel 1963. Il suo campo di studi riguarda lo Spazio Interpersonale, o Distanza Interpersonale, una caratteristica essenziale del comportamento sociale.¹
È una distanza che manteniamo nelle interazioni interpersonali o, in altre parole, uno “spazio respiratorio”, un’area astratta che circonda ogni individuo. Questo spazio aiuta a regolare l’intimità nelle situazioni sociali controllando l’esposizione sensoriale. La possibilità di una maggiore stimolazione visiva, tattile, uditiva e olfattiva è migliorata a distanze più ravvicinate e le persone possono sentirsi invase e reagire negativamente quando altri adottano e si mantengono a una distanza interpersonale troppo stretta.²
Hall, nel corso dei suoi studi, ha osservato come la distanza relazionale tra le persone sia correlata con la distanza fisica e ha definito quattro zone interpersonali:
- La zona intima (0-45 cm).
- La zona personale (45–120 cm) per l’interazione tra amici.
- La zona sociale (1,2-3,5 metri) per la comunicazione tra conoscenti o il rapporto insegnante-allievo.
- La zona pubblica (oltre i 3,5 metri) per le pubbliche relazioni.
Differenze culturali e il ruolo della psichiatria
Al rigore scientifico ovviamente si affianca il lato personale e soggettivo. Una personalità espansiva tenderà a restringere le distanze per entrare subito in confidenza con l’interlocutore a differenza di un carattere più introverso che avrà la tendenza al distanziamento. Nel campo della psichiatria queste differenze sono ancora più evidenti. Una persona affetta da Disturbo Bipolare in Fase Maniacale avrà una forte pulsione verso il contatto fisico, superando le barriere sociali e sfociando spesso nell’inadeguatezza o estremizzando il concetto, nell’iper-sessualità. Una persona con forte Ansia Sociale avrà una particolare sensibilità nel percepire le distanze inter-personali, a tal punto da venirne infastidito, adottando atteggiamenti di evitamento. Sul versante ancora opposto troviamo le gravi Depressioni Catatoniche, nelle quali il contatto con il mondo esterno è totalmente interrotto, a tal punto dal poter far assumere al corpo del paziente delle forme plastiche, come un manichino, nella così detta Flexibilitas Cerea.
Le differenze culturali nel contatto umano

Oltre alle differenze soggettive, esistono numerose differenze culturali e geografiche. Lo studio del 2017 intitolato Preferred Interpersonal Distances: A Global Comparison³ ha sottoposto 9000 partecipanti, in 42 paesi ad una semplice domanda: ” Può indicare sul Diagramma di Edward T. Hall quale distanza adotterebbe per sentirsi a proprio agio nel parlare con uno sconosciuto, un amico o in una relazione più intima?”
I tre paesi nei quali era maggiore la distanza tenuta nell’interazione con estranei, sono risultati la Romania, con circa 140cm, l’Ungheria e l’Arabia Saudita (paesi reduci da una forte repressione totalitaria); al contrario, i tre paesi in cui i partecipanti hanno dichiarato di sentirsi maggiormente a proprio agio con gli estranei sono stati l’Argentina con 80 cm, il Perù e la Bulgaria. L’Italia si è mantenuta nella media per quanto riguarda la distanza con estranei, circa 90 cm, ma raggiunge dei livelli di intimità molto stretti, con una distanza di circa 40cm. Curiosamente, la Romania ha dimostrato il maggiore gap tra distanze ampie in pubblico e strette nell’intimità. Inoltre, si può osservare come nei paesi più caldi, le persone preferiscano mantenere distanze più strette verso gli estranei, ma più lontano verso i partner intimi.

E durante l’isolamento?
Il Ministero della Salute indica di mantenere una distanza interpersonale minima di un metro e in aggiunta, l’attuale clima di diffidenza reciproca sta alterando tutti gli esposti riportati. Le persone quando escono per la strada, vanno al supermercato o si incontrato con i colleghi sul lavoro, scrutano l’altro, l’estraneo, il possibilmente infetto, in un clima di doverosa attenzione. Ma in alcuni casi questa attenzione si è trasformata in paranoia, in rabbia. Sono ormai tanti i casi di cronaca in cui si sono delineate le due fazioni, “i controllori” e i “fuorilegge”.
Come nel famoso esperimento dello psicologo italo-americano Philip Zimbardo, le persone tendono ad assumere dei ruoli sociali dettati dalle circostanze ambientali, identificandosi a tal punto da commettere atti di recriminazione e violenza. Da un lato troviamo persone che applicano alla leggera le normative ministeriali sul Lockdown, dall’altro sceriffi improvvisati, che armati di smartphone sono pronti a filmare, diffondere e denunciare condotte non aderenti alle loro attuali norme morali.
Dopo la fase di isolamento cosa accadrà?
Risulta difficile prevedere come cambierà il mondo dopo il lockdown, ma una cosa è certa: cambierà!
Affidandomi alle parole di Jeremy Rifkin, uno dei massimi esperti mondiali dell’economia applicata all’ecologia, si può affermare che quando il mondo sarà uscito dall’emergenza dovuta alla pandemia da Coronavirus, sarà necessario rivalutare i nostri concetti di lavoro, studio, e vita sociale, per mantenere una distanza di sicurezza. I teatri, i cinema, gli stadi, gli aerei dovranno essere riprogettati in modo da contenere meno persone. Jeremy inoltre, afferma che il COVID-19 rappresenta la Waterloo della Globalizzazione così siamo abituati a concepirla. Ci apriremo a Bioregioni, ovvero aree sovranazionali simili per attitudini industriali, agricole o culturali. Oggi come in altre fasi del passato ci troviamo di fronte ad una fase critica, ma come ci insegna la storia, ogni fase di grande progresso è stata preceduta da una fase di grande cambiamento.
Riflessioni conclusive della Dott. Francesca Santi
L’isolamento è la parola d’ordine. Il distanziamento sociale è l’arma, l’unica ad oggi, che abbiamo per combattere la diffusione del Covid-19. Le giornate trascorrono lentamente, accompagnate dalla preoccupazione e dall’attesa. La sospensione delle nostre abitudini ci angoscia.
Cosa succederà dopo? Questa esperienza ci cambierà l’esistenza? Come?
Torneremo a salutarci calorosamente, ad abbracciarci per rinforzare il senso di una fratellanza e di una comunità ritrovata, allontanando così ogni ricordo di un passato che vogliamo rimuovere? Oppure, ci continueremo a guardare con sospetto? Stigmatizzeremo le persone che ne sono uscite ritenendole ancora pericolose per la nostra salute? Lentamente, cominciano a farsi strada le ipotesi di riapertura con criteri di distanziamento, fasce d’età, misure di monitoraggio informatico. Ed ecco che un altro scenario, non meno inquietante, si affaccia all’orizzonte: la nuova e diversa dimensione del “dopo”.
Verso un nuovo equilibrio sociale
Oggi, ancora, rimaniamo in casa, leggiamo i libri, lavoriamo in smart-working, guardiamo la televisione, sperimentiamo l’angoscia, il dolore verso la sofferenza che ci circonda, la frustrazione della nostra impotenza, la noia. Già oggi, in realtà, seppure inconsapevolmente, ci stiamo preparando a un dopo che, invero, non siamo neanche in grado di immaginare. Forse l’unica certezza che faticosamente, ma sempre più inesorabilmente, si dischiude è la consapevolezza, che niente ormai sarà più come prima.
Il paradigma della sicurezza che ci ha avvolto e confortato negli ultimi duecento anni si è incrinato. Sarà davvero possibile rimuovere facilmente il senso di precarietà che abbiamo toccato con mano?
Ripartire dopo l’incertezza
Forse si, alla fine di questo grande incubo, avremo tutti fretta di dimenticare, di riprendere, seppure lentamente e con gradualità, le nostre così rassicuranti abitudini e stili di vita e, forse, senza più la drammatica contingenza del presente.
Fugheremo le razionali riflessioni sulla nostra esistenza e sulla sostenibilità delle nostre azioni, a cui tutti noi oggi prestiamo attenzione. Un aspetto fondamentale, caratteristico dell’uomo, è la resilienza, ovvero la capacità di adattamento e di risposta alle situazioni critiche.
E allora, sempre più distratti dalle nuove aperture verso la libertà, avremo solo voglia di scrollarci di dosso tutto e calare il sipario su quanto successo. Ma, forse, la nostra mente potrà faticare a ritrovare la normalità e ad accogliere le istanze di oblio per adattarci rapidamente alla nuova realtà. No, forse non è vero che andrà tutto bene. E allora dovremmo essere preparati a confrontarci con le reazioni psicologiche individuali e collettive che questa pandemia inevitabilmente genera.
La paura di oggi può essere, tuttavia, una grande lezione contro il caos, contro la tracotanza nei confronti del prossimo e dell’ecosistema in cui viviamo e da cui dipendiamo. Può essere un prezioso insegnamento quando ci riporta al senso del tempo ed alla riconsiderazione che la nostra esistenza è tale solo quando si declina da ciò che proviene dall’altro. La diffusione del virus potrebbe allora insegnarci a recuperare il senso di solidarietà, di comunità e di responsabilità verso l’altro. Un’occasione importante per adottare comportamenti di umanità, per ripensare alla nostra società e, conseguentemente, a noi stessi.
“Un giorno tu ti sveglierai e vedrai una bella giornata. Ci sarà il sole, e tutto sarà nuovo, cambiato, limpido. Quello che prima ti sembrava impossibile diventerà semplice, normale. Non ci credi? Io sono sicuro. E presto. Anche domani.”
Fedor Dostoevskij
1) Hall, E. T. (1966). The hidden dimension. New York, NY: Doubleday.
2) Madanipour, A. (2003). Public and private spaces of the city. London, England: Routledge.
3) Sorokowska A. (2017) Preferred Interpersonal Distances: A Global Comparison.
Sono convinto ad un ritorno graduale a un sistema di vita simile al precedente, sia possibile. In particolare per una fascia di età over 60.
I cambiamenti saranno però più importanti non sulla relazione interpersonale, ma sul come.
Più tecnologia e cambiamento radicale su scuola, ufficio e soprattutto sanità.
Ma la propensione allo stare insieme nei millenni non verrà meno.
Un esempio recente sono le gravi malattie tramite rapporti sessuali, che hanno obbligato ad adottare presidi di prevenzione un po’ invadenti, ma non ne ha rallenta la pratica. Sicuramente per molte persone ci sarà bisogno di forte cambiamento nel modo di pensare. Questo avrà bisogno di un grande supporto di Psichiatri e Psicologi per un atterraggio morbido.
Carlo ti ringrazio per il tuo commento, che condivido, e spero possa essere lo scenario che potremmo trovare nei prossimi anni.
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